VIAGGIO A ROMA

Nell’autunno di qualche anno fa arrivò nel mio ufficio una convocazione per una riunione dirigenziale a Roma, alla presenza del Ministro. Mi affrettai a prenotare il viaggio aereo e telefonai al cugino Gianni, cogliendo l’occasione della trasferta, per poterci incontrare. – Naturalmente verrai a dormire da me –  disse subito.

– No, ho già prenotato l’albergo - Non sentì ragioni, così accettai la sua ospitalità. Mi faceva piacere pernottare da lui, oltre che per l’affetto che ci lega, anche perchè abitava, ed abita ancora, in un graziosissimo appartamento in pieno centro a Roma, a pochi passi dal Ministero, sede della riunione.

Il giorno della partenza, alzatomi presto per prendere l’aereo del mattino, si pose il problema di come vestirmi.

– Mettiti il vestito nuovo di velluto, che hai comprato poco tempo fa. E’ una buona occasione per indossarlo. Ancora non l’hai messo. – Affermò mia moglie.

Ero perplesso, perché mi sembrava troppo elegante per l’occasione. Mi convinsi poi che, al contrario, era giustamente sportivo ed elegante.

Mi andava a pennello, anche se i calzoni parevano un po’ stretti. Erano di velluto liscio ed essendo  nuovi, pensavo si sarebbero adattati. Non presi un cambio d’abito di riserva dovendo soggiornare a Roma solo per un giorno ed una notte.

Volo perfetto, aereo mezzo vuoto ed arrivo a Roma in orario.

Gianni venne a prendermi e decidemmo di cenare insieme. La serata era tiepida e non rimpiangevo le nebbie  autunnali che avevo lasciato.

 – Che bel vestito    osservò Gianni a tavola.

– L’ho comprato un paio di settimane fa e non l’avevo ancora indossato. –

- Ti sta benissimo. -

Trascorremmo una piacevole serata e rientrati a casa, prima di augurarmi la buona notte e ritirarsi nella sua stanza, Gianni mi avvertì che l’indomani si sarebbe alzato presto in quanto aveva un impegno di lavoro fuori Roma.

Il giorno successivo lo sentii levarsi di buon’ora.

Alzatomi a mia volta,  sbrigati gli adempimenti mattutini, cominciai a vestirmi.

Mi infilai i pantaloni e la giacca ma, mentre mi chinavo per allacciarmi le scarpe, avvertii uno strano “cric”provenire dal dietro dei calzoni. Pensai ad una piccola scucitura della linea meridiana posteriore. Me li tolsi per valutare l’entità del danno. E’ vero che all’inizio mi era apparso che fossero un po’ stretti, ma tale impressione era presto scomparsa, Ricordavo quanto mi aveva garantito la commessa –Vedrà che portandoli, cedono -.

Girati i pantaloni, vidi con raccapriccio che non si trattava di una scucitura, ma di un vero proprio “sette” piccolo, ma trasversale. Non avevo un ricambio e sicuramente mio cugino aveva da qualche parte ago e filo per un rammendo di fortuna. Ma dove? Rintracciarlo telefonicamente era impossibile, in quanto il suo telefono cellulare era sicuramente spento, essendo in volo in quel momento. Intanto il tempo passava e l’ora della riunione si avvicinava pericolosamente.

Che fare? Osservando, infatti,  da vicino il velluto in quel punto, mi accorsi che la stoffa era come bruciata, evidentemente per un errore di coloratura. La minaccia era che la rottura aumentasse, con conseguenze ben immaginabili. Uscire per acquistare un paio di calzoni era impossibile sia per la mia taglia, non proprio facile, sia poiché a Roma i negozi aprono dopo le dieci. Dopo attimo di smarrimento, mi venne in mente la soluzione adottata da un amico riminese, un vecchio intellettuale e filosofo tanto colto quanto strano e soprattutto celebre per la sua patologica parsimonia. Questo singolare personaggio, misantropo e misogino lo si vedeva tutti i giorni attraversare a piedi il centro di Rimini per recarsi alla biblioteca Gambalunghiana. Estate ed inverno era sempre vestito con un impermeabile tutto rattoppato, residuato di guerra, lasciatogli a casa probabilmente da un soldato durante la liberazione di Rimini. Un giorno, fermandolo, gli avevo chiesto come facesse a tenerlo ancora insieme tanto era logoro. – Uso lo scotch. Quando si rompe incollo i lembi con il nastro adesivo. -  Mi mostrò, aprendolo, un interno pieno di strisce. – Così mi durerà ancora chissà quanto – aggiunse.. Quella mattina a Roma però non ridevo e, ripensando a L., mi resi conto che al momento era l’unica soluzione. Senza perdere tempo, mi rimisi con enorme cautela i pantaloni e scesi dal tabaccaio di fronte per acquistare un rotolo di nastro adesivo. Tornato li misi sul letto e dall’interno, come avevo visto nell’impermeabile inglese di L. chiusi la rottura con una serie di strisce incrociate. Doveva resistere sino a sera, in quanto la riunione si protraeva anche nel pomeriggio e l’aereo per il ritorno partiva alle venti e trenta. La giornata era lunga, ma contavo sulla buona qualità dell’adesivo. Ovviamente una volta seduto alla riunione, avrei fatto molta attenzione e mi sarei mosso il meno possibile.

Camminando un po’ rigidamente ed impettito mi avviai verso il Ministero. Per fortuna avevo un soprabito di pelle, un giaccone che mi copriva appena il punto delicato. Immaginavo già l’ilarità e gli sbeffeggi dei colleghi, se si fossero accorti del fatto, tenuto conto che non con tutti ero in buoni rapporti. L’incontro inoltre si preannunciava piuttosto burrascoso.

Arrivato in orario in una grande sala sotto gli occhi severi dei ritratti d’illustri predecessori del Ministro in carica, iniziò il solito disgustoso minuetto di falsi saluti e salamelecchi nei confronti dei funzionari ministeriali, nostri superiori. Costoro, con l’accondiscendenza che si mostra agl’inferiori, per di più provenienti dalle province“dell’Impero”(così ci giudicano), ci ricevevano con sussiego.

Ovviamente secondo l’uso romano la riunione convocata per le dieci, iniziò a mezzogiorno.

Il Ministro, preceduto da un sottosegretario e con un seguito di consiglieri, si presentò all’una, senza un cenno di scuse. Ci comunicò poi che era rammaricato e che sarebbe rimasto solo pochi minuti, essendo richiesta ed indispensabile la sua presenza in altre e più importanti sedi istituzionali. Cominciavo a sentirmi a disagio. Con il calore del corpo il nastro adesivo iniziava a  aderirmi anche alle mutande. Non sapevo inoltre se il “sette” fosse peggiorato. Sarà per il nervosismo della giornata iniziata male o per il fastidio, che sbottai a voce alta, nel silenzio generale dei miei colleghi atterriti dalla presenza ministeriale,

- Se avessi saputo che Lei si sarebbe presentato con quasi tre ore di ritardo, senza scusarsi e comunicandoci anche che può rimanere solo pochi minuti, non sarei venuto oppure sarei andato a cercare un paio di pantaloni! -

Silenzio generale, sguardi trasecolati dei presenti rimasti impietriti dalla mia sortita. Incurante delle occhiate di fuoco da parte dei funzionari ministeriali, proseguii – Se devo perdere tempo per venire a Roma, far spendere inutilmente soldi all’amministrazione in rimborsi di viaggio e sentire solo “Buon giorno” detto da un Ministro, sarei rimasto a casa, in mezzo alle nebbie padano-romagnole, avrei impegnato meglio il mio tempo e i pantaloni non si ….. – Mi interruppi appena in tempo. Il Ministro voltatosi verso di me con un’inattesa aria contrita, rispose – Almeno qualcuno che una volta tanto parla chiaro – ed interrompendo un cortigiano che gli sussurrava all’orecchio chissà quali provvedimenti prendere nei miei confronti per “Lesa Maestà” riprese – Capisco il suo stato d’animo e voglio scusarmi, in quanto i miei uffici m’avevano garantito che si trattava di cosa di poco conto e pertanto bastava un atto di presenza. Cosa c’entrano però i pantaloni?

– C’entrano, c’entrano – ribattei. Poi frenandomi – c’entrano lo so io, purtroppo.

Noi siamo venuti per discutere alcuni problemi derivanti da Sue scelte, che ci sono state comunicate, e che non condividiamo. -

– Quali scelte, cosa accade? – Esclamò, rivolgendosi ai consiglieri. – Non so nulla! – In quel momento, sia per il digiuno, sia per la tensione accumulata mi mossi bruscamente sulla sedia per alleviare un improvviso dolore intestinale. Con raccapriccio sentii un altro “cric”. I pantaloni stavano cedendo. Anche l’assemblea, prima silenziosa e servile, iniziò a rumoreggiare. Il Ministro, vista la situazione, dimenticati i suoi inderogabili impegni si mise a discutere vivacemente con noi e con i suoi funzionari. 

Il sottosegretario, trasecolato, continuava a ripetere – Signori calma, calma –. 

Approfittando della confusione, mi alzai con molta delicatezza ed uscii alla ricerca di un bagno. Avevo in tasca il provvidenziale rotolo di nastro adesivo e speravo di poter riparare l'aggravarsi del danno.

I bagni del Ministero, risalenti certo all’epoca umbertina e mai rifatti, constatai che erano impresentabili, con porte che non chiudevano. Impossibile, dunque, togliermi i calzoni per ripararli. Pressato dall’urgenza mi aggiravo per larghi corridoi deserti, chiedendomi dove fossero finiti gli impiegati, che sulla carta risultano numerosissimi. Aperta a caso una stanza, mi trovai in un sontuoso ufficio vuoto. Era quello del Ministro? Ancora oggi me lo chiedo. Visto che aveva la porta fornita di chiave, diedi un giro alla serratura e finalmente mi tolsi le braghe. Appoggiatele ad una prestigiosa scrivania, mi accorsi con sgomento che la rottura era più che raddoppiata. Maledicendo il celebre stilista che aveva firmato l’abito, la malasorte ed il mio acquisto, cominciai il lavoro. Bussarono improvvisamente alla porta, facendomi sobbalzare. Una voce chiese: – Si può? – Non sapevo che fare; ero in mutande giacca e camicia e già mi vedevo arrestato dalle forze dell’ordine, sbattuto in prima pagina ed incolpato di reati infamanti. Borbottai, in preda alla disperazione, qualcosa d’incomprensibile. Evidentemente l’importuno, abituato a strani comportamenti, rispose in tono malizioso da dietro la porta,  – Ho capito Onorevole, è certamente impegnato in cose più importanti. Tornerò più tardi! –

Tirato un sospiro di sollievo, velocemente cercai di aggiustare alla meglio lo strappo. Terminata l’operazione mi rivestii in fretta, sperando che la riparazione tenesse.

In quel momento un maligno diavoletto, d’evidente natura romagnola, prese a sussurrarmi cattivi consigli all’orecchio.

Visto che i bagni erano impraticabili e non avendo potuto completare alcune necessità fisiologiche mattutine, a causa di quanto avvenuto, adocchiai il vaso di una pianta monumentale che si trovava tra la scrivania ed un salotto.

Il diavoletto continuava a tentarmi anche perché mi accorsi che l’immenso arbusto era finto e di plastica.

Che liberazione! Temevo che vaso e sottovaso, per fortuna stagni, non fossero sufficienti a contenere il tutto. Benchè riempiti sin quasi al colmo, non vi fu tracimazione. La terra del vaso era finta: si trattava, infatti, di un coperchio di plastica mimetizzato con muschio che richiusi accuratamente.

Prima d’uscire aprii leggermente la finestra per arieggiare il locale.

Tenni poi l’orecchio accostato alla porta per accertare se la via era libera. Non sentendo nulla, socchiusi l’uscio e sbirciai il corridoio. Deserto. Velocemente com’ero entrato, sgattaiolai fuori ed assumendo un’aria distaccata percorsi a ritroso i vasti ambienti, sempre senza incontrare nessuno.

La riunione era sempre più tesa, tanto che il mio vicino di posto, vedendomi rientrare mi disse – Dov’eri? Lo stiamo mettendo in difficoltà. Se non ci fossi stato tu ad iniziare, il viaggio sarebbe stato inutile.

– Sono uscito un attimo – risposi, poi chiesi la parola. Il Ministro, pallido in volto e sconcertato per la brutta piega presa dall’incontro, mi fece cenno di intervenire.

- Sono venuto a Roma ieri sera per essere puntuale questa mattina, ho avuto alcune traversie prima di arrivare qua e probabilmente ritornerò a casa questa sera senza che si sia concluso nulla. Fra rinvii, ritardi e chiacchiere, sono già le due e mezza e non si è deciso niente. Bella perdita di tempo, ho fame come tutti i colleghi presenti. Non siamo abituati agli orari romani! – Cercai anche di non ascoltare il maligno diavoletto romagnolo che continuava a ripetermi all’orecchio – Manda ben st’invurnì d’un Minester  a far’s dé in te c….*- Mi trattenni a stento dal seguire i suoi consigli e ripiombai seduto, avvertendo di nuovo un sinistro “cric”.

Il Ministro ribattè – Ho capito, ha ragione, conosco il problema e mi impegno a breve ad accogliere le vostre proposte.

Mi sembrava una presa in giro e proseguii - Invece non sa niente – aggiunsi-. Ogni momento deve rivolgersi a suoi cortigiani per farsi informare dell’argomento di cui si discute. Cosa combina tutto il giorno nel suo lussuoso ufficio? Si vergogni!- A quel punto scoppiò un tumulto colossale, funzionari impietriti, Sottosegretario impallidito, cereo e senza parole ed il Ministro che apriva la bocca come un pesce fuor d’acqua senza riuscire a parlare, quasi fosse stato colto da un colpo apoplettico. Al culmine della scena, dal fondo della sala proruppe improvvisamente un suono violento, tagliente ed inconfondibile, prodotto indubbiamente da un virtuoso napoletano di labbra e mano. Con effetto ascendente dalle note basse glissò sino ad un acuto strepitoso, prolungandosi e moltiplicandosi grazie anche agli echi ed alle risonanze dell’austera sala a volte nella quale ci trovavamo.

Notai in quel momento, nascosto fra alcuni colleghi, come uno scolaro dell’ultimo banco che si cela dietro i compagni, un dirigente partenopeo, che con aria circospetta e maliziosa, stava facendo lentamente scendere la mano dalla bocca, come per accarezzarsi il pizzetto risorgimentale che gli ornava il mento. Al suono indubbiamente scurrile fece seguito un improvviso silenzio di tomba. Tutti erano ammutoliti.

Anch’io non pensavo più ai miei pantaloni.

Il Ministro, terreo, si alzò senza profferire parola e nel gelo totale uscì, seguito dai suoi.

In quel frangente un vecchio collega intervenne consigliando saggiamente di sciogliere la riunione. Ci si sarebbe potuti ritrovare di lì a qualche tempo quando gli animi si fossero rappacificati. I soliti pavidi già temevano ritorsioni di ogni sorta. – E’colpa tua – mi disse qualcuno – Se non intervenivi, come il solito a fare il provocatore, non sarebbe successo nulla. Chissà adesso cosa accadrà. Prenderanno provvedimenti disciplinari. Cosa sarà di noi. Ci licenzieranno tutti! –

- Caro collega – risposi -  Forse abbiamo trasceso, ma anche il Ministro ci ha trattato da servi. E’ arrivato in ritardo di due ore senza scusarsi, poi se ne doveva andare subito ed inoltre non sapeva nulla dei nostri problemi. Gli è stato bene. Stai tranquillo, non ci sarà seguito – .

Pensavo intanto: quando qualcuno si accorgerà del vaso di fiori e del suo contenuto saremo già lontani. Forse non penseranno a noi, ma a rifare e rendere decorosi i bagni.

Uscii dal Ministero per andare all’aeroporto. Per fortuna avevo il giaccone che mi copriva, in quanto salendo in taxi avevo sentito una sinistra frescura salirmi dal didietro.

A Fiumicino ebbi il problema del controllo. Non volevo togliermi il giaccone, temendo il peggio, e le guardie mi guardarono con sospetto, verificandomi accuratamente con il detector. L’attesa poi del volo fu estenuante ed infine l’imbarco. Arrivato finalmente a bordo l’assistente di volo m’invitò, visto che faceva caldo, a togliermi il giaccone. Accampai un malore per poterlo tenere. Mi ero accorto salendo la scaletta che il dietro dei pantaloni si era completamente rotto e di conseguenza dalla cintura sino all’attaccatura delle cosce ero completamente scoperto. Una sorta di balza di stoffa, mi pendeva sin quasi alle ginocchia.

Restai per tutta la durata del volo seduto immobile sudando a profusione. Ogni volta che l’assistente passava, mi scrutava sospettosamente, chiedendomi se avessi bisogno di qualcosa.

Giunto finalmente a destinazione attesi che tutti i passeggeri fossero scesi in modo da non avere nessuno dietro. La mia situazione era ormai palese. Sembrava, infatti, che avessi una gonna che usciva dietro dal soprabito.

Non so come uscii dall’aeroporto e finalmente arrivai alla macchina. Entrato in casa, senza parlare, mi voltai facendo vedere a mia moglie cosa era successo.

Ricordo la sua risata, che mi contagiò.

Quanto al Ministro, dopo poco tempo fu sostituito, essendo i governi poco duraturi. Come avevo previsto, non vi fu nessuna conseguenza.  Per la pianta finta, comunque da me ben concimatata, forse è ancora al suo posto. Magari qualche politico di turno si sarà chiesto se è normale che faccia cattivo odore. 

E’ passato parecchio tempo e ancora rimpiango quel vestito.

- Era così bello e ti stava tanto bene, – ricordava non molto tempo fa mia moglie ridendo.

 

Giovanni Bartoli      

Sorrivoli, 12 novembre 2005 ( rev. 2011)



* Forma dialettale: “Manda bene questo stupido di Ministro a farsi …..”.