Ricordo
di Lino Liviabella
Nella
tarda primavera del 1956 o 57, mi avvicinai allo studio del pianoforte,
come testimonia un quadernetto di musica, recentemente trovato, con il
mio primo compito consistente nel riconoscere una paginetta di note,
pazientemente scritte dalla mia insegnante.
La
vocazione allo studio della musica mi si era manifestata fin dalla prima
infanzia, stimolata anche dai ricordi musicali di mia nonna, Elena
Galassi Borsari, valente violinista, diplomatasi presso il glorioso
Liceo Musicale di Bologna nel 1906. L’amicizia familiare con Ottorino
Respighi, le foto con dedica, che conservo ancora fra i miei ricordi più
cari, di Giuseppe Martucci, Marco Enrico Bossi, Arrigo Serato e tanti
altri musicisti che onorarono l’Istituto bolognese con la loro
presenza, rappresentano la testimonianza di un’epoca della
“Musica” a Bologna che riviveva nei racconti di mia nonna come un
momento particolarmente felice della sua vita. Determinante però fu il
fatto che mia madre, Elsa Borsari, una delle “voci” storiche di
Radio Bologna, divenuta poi funzionario della RAI, avesse accettato, più
per amicizia che per altro, di presentare nel giugno dell’anno
precedente un saggio di allievi
di pianoforte al Teatro “La Ribalta” di Bologna, organizzato
da un’insegnate privata.
Andai
ad assistere allo spettacolo, rimanendo fra le quinte, ed il vedere
tanti ragazzi e ragazze che si esibivano fece si che chiesi con
insistenza, sostenuto ovviamente da mia nonna, di intraprendere lo
studio del pianoforte. Di frequentare il Conservatorio non se ne parlava
neppure, sia per il timore reverenziale che m’incuteva il severo
convento di Piazza Rossini che dal 1804 ospita l’Istituto bolognese,
sia perché i miei genitori si mostravano estremamente prudenti su
questo mio entusiasmo per la musica.
Iniziai
l’anno successivo e, da allora, mi sembra di aver sempre conosciuto la
musica ed il pianoforte. Trascorsi alcuni mesi, avendo fatto buoni
progressi, l’insegnante mise sul leggio del pianoforte un fascicolo
con un’invitante copertina: si trattava della “Suite Giocattolo”
di Lino Liviabella.
Mi
spiegò che l’autore era un importante compositore contemporaneo (ne
aveva una venerazione), allievo di Respighi ed attualmente direttore del
Conservatorio di Pesaro (così mi ricordo).- Mi misi di buona lena ad
affrontare due composizioni di questa suite, “ Tamburino” e
“Valzer”. Erano difficili per un principiante ma la passione, nata
allora e che mi è rimasta, per la musica del “900”, mi stimolò. Le
dissonanze non mi spaventavano ed anzi il procedere percussivo del
“Tamburino”mi entusiasmava. Alla ripresa delle lezioni autunnali,
visto il buon risultato, provai a studiare alcuni brani di un’altra
serie di composizioni del Maestro Liviabella, tratte da un raccolta
intitolata “La Giornata di Lucio”.
Lucio,
spiegò la mia insegnante, è uno dei figli del Maestro, che studia
anch’egli la musica e cui la raccolta è dedicata. L’autore vuol
descrivere la giornata di questo ragazzo: il risveglio, lo studio, i
giochi, sino al riposo notturno. – M’impegnai anche su alcuni di
questi brani con risultati che mi parvero discreti. Venne a questo punto
la “sorpresa”. Si era ai primi di dicembre e l’insegnante mi
annunciò che aveva intenzione di organizzare a casa di suoi parenti,
poco prima di Natale, una serata musicale alla quale far partecipare
alcuni suoi allievi, piccoli e grandi, fra i quali vi sarei stato
anch’io. Alla serata sarebbe stato invitato, quale ospite d’onore,
il Maestro Liviabella, del quale sarebbero state eseguite alcune
composizioni. Naturalmente avrei dovuto suonare qualcosa sia da “La
giornata di Lucio”sia il “Valzer” ed il “Tamburino” dalla
“Suite Giocattolo”. Mi chiese anche se mia madre sarebbe stata
disponibile a recitare la fiaba “Riderella” scritta dal Maestro, per
voce recitante e pianoforte. Ovviamente accettò volentieri.
Non
ricordo i preparativi e, per l’incoscienza dell’età (avevo otto o
nove anni), non mi rendevo conto della responsabilità di suonare
davanti ad un celebre autore sue composizioni.
Quella
serata mi è rimasta impressa indelebilmente nella memoria.
Il
Maestro Liviabella era un uomo alto e magro con grandi occhiali e
dall’aria ascetica e, terminata la mia esecuzione, scattò in piedi
prendendomi fra le braccia, riempiendomi di complimenti.
A
mia madre, cui fece moltissimi elogi per la recitazione di
“Riderella” chiese insistentemente di iscrivermi al Conservatorio,
anche in deroga all’età precoce. Di quella serata e di altri incontri
in quegl’anni conservo sempre il ricordo di un grande artista e di una
persona gentile ed affettuosa che ogni volta sollecitava i miei genitori
ad iscrivermi al Conservatorio.
L’ultimo
incontro con il Maestro avvenne alcuni anni dopo, quando era già
direttore del Conservatorio di Bologna, poco prima della Sua prematura
scomparsa.
L’occasione
fu quella di un concerto alla Sala Bossi del Conservatorio del
valentissimo pianista Gino Brandi, genero del Maestro. Dopo il concerto,
una domenica pomeriggio, cui presenziai con mia madre, seguì un breve
ricevimento nell’aula Respighi ed
il Maestro ancora insistette con mia madre perché frequentassi il
Conservatorio. Purtroppo in quel periodo ero in piena crisi
adolescenziale e non volevo più sentir parlare di musica e pianoforte.
Peraltro anche negli studi ginnasiali non brillavo particolarmente ed
ero alla ricerca di me stesso.
Solo
un paio d’anni dopo e purtroppo il Maestro era mancato, superata la
crisi e ricordando le Sue parole d’incoraggiamento, mi riaccostai alla
musica e da quel giorno non l’ho più abbandonata.
In
ogni momento della mia carriera di musicista, e soprattutto quando ho
assunto la direzione di un Conservatorio il pensiero mi è andato e va
costantemente alla figura ed all’esempio di Lino Liviabella, fecondo
compositore, grande artista, didatta ed organizzatore che ho avuto
l’onore di conoscere e che ha visto in me, forse in barlume, quella
passione che mi ha permesso di fare questo lavoro.
Oggi
la professione del musicista è molto cambiata ed il ruolo di direttore
di un Conservatorio è notevolmente diverso: si è voluto forse
comprimere e sacrificare l’artista, preferendogli la figura di un
“esperto” che organizzi e gestisca istituti artistici con criteri
burocratici.
Quando
i direttori di Conservatorio si chiamavano “Liviabella” erano altri
tempi, ma la loro lezione non dovrebbe essere mai dimenticata: credere
nell’ARTE
con passione, devozione e profonda onestà.
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