L'automobile
La
prima auto che ho posseduto è stata una Fiat 500 bianca, regalatami da
mio zio nel 1966 per i miei diciotto anni, poco tempo dopo aver
conseguito la patente di guida.
Con
la 500 entrai nel novero di quei giovani motorizzati che potevano
portare le ragazze sui colli di Bologna dove stradine isolate e spazi
fra le curve dei tornanti permettevano comodi parcheggi al riparo da
occhi indiscreti.
Conoscevo
bene quei luoghi. Come appassionato motociclista ne avevo esplorato ogni
punto, compresi viottoli e sentieri seminascosti utilizzati durante la
guerra dai partigiani per rifugiarsi verso l'adiacente versante
dell'Appennino.
Mi
accorsi purtroppo alle prime sortite che i problemi non mancavano,
nonostante la comodità dei sedili ribaltabili aumentata da un comando
laterale installatomi da un meccanico compiacente. Certamente il
vantaggio della sorpresa giocava a mio favore in quanto la fanciulla
trasportata veniva colta di sorpresa quando, toccando una levetta, si
trovava improvvisamente con il sedile posizionato a 180 gradi. Accadeva
però sovente che incontrasse un difensore insperato, poiché ogni
movimento dell'attaccante era compromesso da un’insidiosa e lunga leva
del cambio oltre che da quella del freno a mano.
Dopo
le prime esperienze, viste le difficoltà, il solito meccanico
compiacente mi consigliò di accorciare drasticamente il comando del
cambio - Così è più sportivo - affermò Gino. Sostituì anche il
pomello che la sormontava con una più piccola impugnatura di legno, per
coprire il troncone del perno metallico. Modificato in tal modo sembrava
più il manico di uno di quegli ombrelli corti con impugnatura dritta,
che si tengono nelle borse per emergenza. Certo l'ingombro, con relativi
rischi di traumi anche dolorosi, si era ridotto. Rimaneva però il
problema del freno a mano. Dovendo fermarsi spesso su strade in salita
oppure in discesa, l'attivazione di tale comando era non solo
prudenziale, ma assolutamente necessaria.
Ad
un amico, che non l’aveva tirato perché impegnato e distratto da
un'accesa competizione amorosa, si era disinserita accidentalmente la
marcia e la vettura era finita con grande sconquasso contro il cancello
di una villa. Fortunatamente nessuno si era fatto male. Le necessarie
spiegazioni e soprattutto l’abbigliamento degli occupanti, aveva
causato loro non poco imbarazzo.
Purtroppo
la leva del freno a mano non poteva essere modificata ed occorreva fare
molta attenzione.
Dopo
circa un anno mi capitò di salire sulla macchina di un'amica. Era una
delle prime ragazze a possedere l'auto ed in controtendenza, preferiva
caricare lei i ragazzi e non farsi scarrozzare. Credeva così di ridurre
i rischi, evitando con cura le zone isolate e collinari per limitare di
fatto eventuali tentazioni.
Aveva
compiuto però un errore di valutazione in quanto, considerando più
sicuri gli itinerari di pianura, non tenendo conto della tranquillità
che allora regnava in quel reticolo di strade e stradine che collegano
la "bassa bolognese". Si
poteva inoltre contare sulla complicità della nebbia presente per molti
mesi dell'anno.
La
sua auto, di marca tedesca, aveva alcune comodità che allora considerai
straordinarie. Intanto era curiosa per la sua forma arrotondata e simile
ad una saponetta, quasi senza differenza fra dietro e davanti, ma più
alta e larga rispetto alla 500. Era dotata di una leva del cambio bassa
fra i sedili ed in posizione avanzata tanto da dover obbligare il
guidatore a chinarsi leggermente in avanti per inserire la prima.
Il
comando del freno a mano poi era posto sotto lo sterzo. Si trattava di
una maniglia cromata da tirare verso l'esterno e non di una leva da
sollevare. Mi accorsi di tutto ciò quando, pur infastidito dal fatto di
dover compiere l'assalto da destra verso sinistra e non come accadeva
abitualmente dal posto di guida verso destra, scoprii che la leva del
cambio, non interferiva nelle manovre e soprattutto non vi era più il
duro ed invalicabile baluardo del freno a mano. Certo, riflettei dopo,
che i tedeschi quanto a tecnica, erano insuperabili: anche in una
piccola utilitaria avevano previsto il freno a mano sotto il volante
come nelle grosse auto americane. Le dimensioni interne della vettura
permettevano poi movimenti più agevoli. A quel punto pensai: è l'auto
che fa per me. Dopo alcuni mesi capitò per caso che una conoscente,
proprietaria di un'auto simile, decidesse di venderla. Informato dal suo
garagista, dopo aver rapidamente ceduto la 500, riuscii ad entrarne in
possesso.
Sperimentata
sul campo si rivelò perfetta: niente più cambio in mezzo e nessuna
leva del freno a mano. Questa vettura, oggi non più prodotta, segnò
per me anche un netto miglioramento nella qualità delle trasportate,
avendo in quel periodo agganciato un giro di ragazze appartenenti alla
buona società cittadina.
Cominciarono
però alcuni piccoli guai. Mi accorsi un giorno che all'avviamento,
peraltro preciso con ogni tempo, corrispondeva un'emissione di fumi
simili a quelli di un camion. Gino sentenziò - Mangia olio, il motore
è mezzo sfatto, vada piano e stia attento con tutto il su e giù che fa
per le colline! Guardi che rischia di rimanere a piedi! - Aggiunse poi
ammiccando - Si porti dietro una lattina d'olio da poco prezzo come
riserva, così non rimane a secco! - Iniziò da quel momento un
pellegrinaggio da rifornitori d'oli riciclati.
Ogni
poche centinaia di chilometri, infatti, dovevo aggiungerne per non
fondere il motore. Ricordai in quel frangente la faccia strana del
garagista al quale mi ero rivolto per sapere se l'auto era in vendita.
Sembrava volesse dirmi "Stia attento!" Essendo tuttavia la
precedente proprietaria un'amica di mia madre e persona che, acquistata
l'auto con la vedovanza, in realtà non l'aveva quasi mai usata, ritenni
si trattasse d'invidia: probabilmente ci aveva messo gli occhi sopra ed
io gliela avevo "soffiata".
Purtroppo
poco dopo mi resi conto che mi sbagliavo.
Una
ragazza, studentessa universitaria, che m'interessava da tempo resisteva
alla tentazione di un invito per una cenetta serale in un locale
collinare tipico, con annesso giro panoramico. Si limitava solo ad
accettare caste passeggiate per il centro di Bologna.
Inaspettatamente
un pomeriggio mentre eravamo seduti in un caffè, mi disse - Sai, ci ho
pensato, se mi prometti di fare il bravo, accetto il tuo invito. - Era
fatta! Lei sapeva bene che per raggiungere il locale che le avevo
decantato, con annesso anche il lume di candela, era necessario
utilizzare l'automobile e questo poteva indicare un'incrinatura nel suo
sistema di difesa anticipando un'inevitabile capitolazione.
La
fanciulla oltre che carina, simpatica e con forme tutt'altro che
disprezzabili, era purtroppo molto pia e devota. Cercava, infatti, ad
ogni nostro incontro di convertirmi ad una fede che sin da bambino,
forse per influsso genetico di un atavico anticlericalismo, mi aveva
lasciato serenamente indifferente. Devo confessare però che la sua
fervente devozione mi stimolava ulteriormente a vincerne le resistenze
morali. Ero convinto che sotto quell'apparente distacco per la debolezza
della carne e quel frapporre mille difficoltà ad ogni incontro che
potesse degenerare in un attacco alle sue virtù, si celasse un
temperamento tutt’altro che distaccato. Certamente, una volta superate
le remore di una rigida educazione ricevuta soprattutto dagli studi
compiuti in un istituto di suore, poteva rivelarsi una conquista
interessante. L'occasione si mostrava propizia: evidentemente si sentiva
sicura, rafforzata e fortificata da un periodo di ritiri spirituali
pomeridiani che, essendo maggio, mese mariano per eccellenza, aveva
svolto con regolarità.
Passai
a prenderla alle otto e trenta precise di una splendida serata di tarda
primavera. L'aria era satura dei profumi del tiglio e d'altre piante, a
tal punto da provocare quasi stordimento. Nel cielo brillava una delle
più belle stellate di stagione e l'incontro iniziava sotto i migliori
pronostici. Avevo rabboccato l'olio, per essere tranquillo: proprio
quella sera non potevo permettermi guasti!
Lungo
la strada i discorsi furono vaghi; non si doveva insospettire, in quanto
la tecnica adottata e collaudata da tempo, era quella di rassicurare la
fanciulla, mostrandosi assolutamente indifferenti. Anzi, nonostante la
segreta determinazione dello scopo finale, bisognava mostrare assoluto
disinteresse per possibili evoluzioni future. Doveva sentirsi
tranquilla; solo dopo la cena ed una bella passeggiata notturna,
approdando in luogo sicuro, si potevano aprire le ostilità, contando
sul vantaggio della sorpresa. Nel suo caso la cautela doveva essere
massima, in quanto, conoscendo il tipo, rischiavo veramente di
"andare in bianco", come si diceva allora. La cena fu
piacevole. Il proprietario del ristorante mi fece l'occhiolino, con
complicità, quando mi vide in compagnia di una bella ragazza. Sapevo
che aveva anche delle camere disponibili, ma non ne avevo mai
approfittato, sia per ragioni economiche (era già abbastanza caro come
ristorante, figuriamoci il resto) sia perché nessuna delle ragazze che
avevo già condotto in quel locale avrebbe mai accettato una simile
soluzione. Al dessert, dopo vari tentativi di condurre il discorso su
argomenti che avrebbero riscaldato l'ambiente, lei improvvisamente mi
chiese con aria angelica - Cosa ne pensi dell'ultima enciclica del Papa
sulla contraccezione? - Erano tempi in cui il Papa di allora, Paolo VI
se ben ricordo, aveva tuonato contro l'adozione dei primi metodi
contraccettivi sicuri e soprattutto contro la "pillola".
Rimasi interdetto e borbottai un'indecifrabile risposta, mentre
riflettevo rapidamente sul motivo di tale richiesta.
Risaliti
in macchina al termine della cena, accettò subito la proposta del giro
collinare notturno. Possibile che non pensasse a secondi fini? Perchè
poi insisteva a chiedermi un parere sul problema religioso della
contraccezione?
In
realtà che fosse lei a condurre il gioco? Erano domande alle quali non
riuscivo a dare risposte.
Avviandoci,
notai che il cambio della mia vetturetta sembrava più tenero
nell'innesto delle marce; la cosa mi preoccupò leggermente, poi vedendo
che tutto funzionava, non ci pensai più. C'inoltrammo per le colline
percorrendo strade assolutamente deserte, fra profumi inebrianti di
piante, come si avvertono solo in quel periodo, se fa caldo e non piove.
Arrivato in un punto strategico, mi fermai ed aperti i finestrini. La
invitai a guardare le stelle e le luci lontane della città. Ad un certo
punto, sperando nella complicità di un buon vinello che le avevo
mesciuto con abbondanza, sferrai l'attacco. Tutto era preordinato: freno
a mano tirato sotto lo sterzo, cambio in posizione da non offrire
ostacoli, comando del ribaltabile (che da poco avevo, a fatica, fatto istallare) pronto.
Aprii
le ostilità tirando la leva ed abbassando lo schienale del sedile di
colpo. Lei emise un grido di stupore e disse - Che fai? Sta buono, non
cominciare, avevi promesso, non facciamo le "bestioline". Dobbiamo essere forti e resistere alle tentazioni! - Ma quali
tentazioni! - pensai - Te le faccio vedere io le tentazioni! Con mia
gran sorpresa la capitolazione fu quasi immediata.
Come
una bottiglia di vino spumante, a lungo agitata e compressa da un
potente tappo, da luogo ad un getto imponente, così lei tenuta a freno
da troppo tempo, rotti gli argini, divenne come un fiume in piena, tale
da travolgere ogni cosa. Arruffati e sconvolti dall'onda violenta della
passione, dopo un tempo indefinito emergemmo alla realtà circostante.
Risistemai il sedile mentre lei cercava di rendersi presentabile. Il suo
casto abitino e tutto quanto vi stava sopra e sotto portava i segni
inconfondibili della passata battaglia.
Mi
chiese dopo un po' se si notassero tracce di quanto avvenuto. Ad una mia
rassicurazione rispose che confidava di rientrare inosservata in
famiglia, vista l'ora tarda. Rimisi in moto. Il motore tossicchiò,
avviandosi con difficoltà Quando ingranai la prima per muovermi, notai
con stupore che invece era entrata la marcia indietro. Preso alla
sprovvista non riuscii ad evitare che una ruota posteriore finisse nel
fosso, a lato della strada. Non solo, ma con sgomento mi accorsi che non
riuscivo più a capire dove fosse finita la marcia avanti. Sembrava
impossibile ma il cambio pareva impazzito. Entrava a fatica solo la
quarta, provocando ovviamente lo spegnimento del motore. Cominciai
allora ad imprecare. Lei iniziò a piangere, sostenendo che la Madonna
aveva punito la sua leggerezza, che quanto accaduto era dovuto al
castigo divino per i nostri peccati recenti. Si mise pure a cantare a
gola spiegata, come una martire davanti ai leoni del Colosseo, Inni e
Salmi religiosi compreso il "Salve Regina". La scena forse
poteva apparire più comica che tragica, quando con un sonoro - Cretina
stai zitta! - le litanie cessarono, sostituite da un pianto continuo e
sommesso. Finalmente riuscii ad ingranare la prima, che
sorprendentemente era finita al posto della terza, ma non riuscivo a far
uscire la ruota dal fosso. Lei al colmo della disperazione sempre
indicando come una punizione divina l'accaduto disse - Non ti sognerai
di chiamare soccorsi! Che penseranno coloro che ci trovano qui! - In
quel momento vidi poco distante un'altra vettura ferma, con i finestrini
chiusi ed in parte appannati. Un altro utilizzatore di questa stradina,
pensai. Trascurando i suoi lamenti, scesi deciso a chiedere aiuto. Mi
avvicinai quindi lentamente. Non erano quelli tempi di rapine o altro,
tuttavia poteva non essere gradito il disturbo a coloro che si
intravedevano nell'abitacolo. Giunto a ridosso del finestrino dalla
parte del guidatore, dopo aver tossicchiato un po' per farmi annunciare,
vidi che all'interno stava svolgendosi una scena simile a quella di cui
ero stato attore poco tempo prima. A togliermi dall'imbarazzo fu
l'occupante che, aperto il finestrino, mi chiese - Che c'è, vuole
qualcosa? - non sembrava per nulla stupito della situazione. Più a
disagio ero io che gli balbettai - Sono rimasto bloccato con una ruota
nel fosso e non riesco ad uscirne. Con la massima calma mi rispose -
Aspetti un momento, poi vengo ad aiutarla. Se non ci diamo una mano fra
noi! -
Nel
buio non ero riuscito a distinguere l'altro occupante della vettura e
fortunatamente la conversazione fu breve. Me ne tornai indietro, dove la
ragazza aveva ripreso a pregare con fervore.
Dopo
pochi minuti l'altro automobilista scese e, dopo essersi risistemato gli
abiti, prese un cavo metallico dal cofano e si avvicinò. In poco, con
la sua auto che era più grossa e potente, mi tirò fuori dal fosso. Il
tragitto di ritorno fu silenzioso e faticoso, con il motore imballato.
Solo sotto casa sua, guardandomi severamente, aggiunse - Hai visto che
il peccato non paga, devi pentirti, spero che quanto successo ti faccia
meditare e ti riconduca sulla retta via. Io espierò in silenzio per
conto mio. - Mi trattenni dal darle una rispostaccia, mormorando una
frase sconnessa a mo' di saluto. Entrata nel portone, si ripose il
problema di ripartire con il cambio completamente impazzito. Non so come
giunsi a casa, ripromettendomi di correre l'indomani dal fido Gino.
Prima
d'addormentarmi pensai - Con tutti i suoi salmi ed i rosari, forse non
ha poi tanto disprezzato la serata, nonostante gli inconvenienti
meccanici. –
Mi
ricordai della sua ultima occhiata, prima di entrare in casa: uno
sguardo languido, umido e voluttuoso come di chi finalmente ha compreso
le funzioni che la natura le ha assegnato. Completamente rilassato mi
abbandonai ad un sonno calmo e ristoratore.
Il
giorno dopo riuscii a raggiungere il meccanico. - Cus'al la savunetta? -
Mi chiese Gino, con aria divertita. Gli spiegai l'avventura accadutami
la sera prima, tralasciando ovviamente i particolari. Lui ridendo
aggiunse - Lo so cosa va a fare la sera in giro sui colli. Cosa vuole
con un cambio "busen" era normale che accadesse!. - Sul
momento non capii: cosa c'entrava un cambio "busen"? Bisogna a
questo punto spiegare che in dialetto bolognese si definiscono così, in
maniera ridanciana, volgare ed irriguardosa, gli omosessuali. Non
capivo, un cambio omosessuale?
Che
rapporto c'era con il guasto. Gino si spiegò meglio - Vede, queste
macchine le conosco, hanno un cambio strano e molto delicato. Lei, poi,
con tutto l'avanti e indietro che fa su e giù per le colline, magari
cambiando marcia bruscamente lo ha guastato. La posizione delle marce si
è invertita. Con un cambio invertito lei vuole andare a ragazze? Lui si
offende e la pianta lì. Ha capito! E' un cambio "busen". -
Sembrava molto divertito ed aggiunse, continuando a sghignazzare -
Guardi è meglio che "sta savunetta d'machina" la dia via al
più presto.
Io
gliela ruffiano un poco tanto da farla andare, ma se ne liberi, perché
è come avere un guaio in famiglia. - Effettivamente il buon Gino riuscì
a rimetterla in sesto e mestamente me ne tornai a casa. Quella sera
mentre pensavo ad una soluzione del problema, squillò il telefono. Era
lei che serafica come se nulla fosse accaduto mi chiese - Hai riparato
l'auto? Allora sabato mi accompagni al Santuario di Bocca di Rio.
C'é
un'importante festa religiosa, che prosegue anche il giorno dopo. –
Aggiunse poi con una risatina - Potremo restare fuori anche la notte e
tornare domenica sera. C'é una bellissima foresteria tenuta dai frati.
Se non ti va possiamo andare in albergo, tanto posto si trova, siamo
fuori stagione! - Riuscii solo a risponderle - Come faccio, la macchina
ha il cambio "busen"! - Non so se abbia capito, ma da quella
volta non mi telefonò nè la vidi più. L'automobile poco tempo dopo la
cedetti, acquistando una vettura nuova d'altra marca. Decisi anche di
sostituire l'alcova a quattro ruote con un più comodo "trappolone",
ovvero una stanza affittata in un vecchio palazzo cittadino. Lì più
agevolmente e senza rischi potevo continuare a condurre assedi o
assalti, mentre illustravo una "collezione di farfalle o di stampe
giapponesi", a scelta.
Giovanni
Bartoli
Sorrivoli
- dicembre 2006 (rev. 2011)
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